A proposito del risultato dei 5 Referendum

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Scrivevo il 10 maggio in una mail interna ai nostri Esecutivi nazionali a proposito dell'impostazione di una campagna elettorale COBAS a favore dei 5 SI' ai quesiti referendari, che andasse oltre la semplice indicazione di voto:

"E' assurdo mettere a referendum le questioni del lavoro dipendente. A votare ci vanno quelli del padronato, del lavoro autonomo, i pensionati, i professionisti ecc. Non si può chiedere a tutte queste categorie, in genere  conflittuali o comunque non certo "paladine" del lavoro dipendente privato, di votare per difendere il lavoratore/trice privato/a dipendente. E' un'assurdità teorica e politica, intrapresa da Landini solo per sperare di far crescere il suo ruolo politico di leader della "sinistra", su cui sta puntando molto in vista della fine degli otto anni da segretario generale CGIL. L'unica possibilità di avvicinare il quorum era legato al referendum contro l'AD: annullato quello, non esiste la ben che minima possibilità di raggiungerlo. Per l'astensione lavoreranno non solo le forze governative ma anche gran parte delle categorie prima citate, e pure la Cisl e buona parte del PD che il Jobs Act lo volle e lo impose, oltre ai vari Renzi, Calenda ecc. Cosa che però non lascerà le cose come stanno, perchè il governo (e non solo) potrà proclamare a gran voce che il fallimento del referendum è il fallimento generale della sinistra politica e sindacale sui temi del lavoro, con un conseguente ulteriore passo indietro in materia di difesa dello stesso lavoro".

Tendevo in particolare a sottolineare che i referendum persi non sarebbero stati a costo zero, ma avrebbero fornito alla destra al governo un'arma formidabile per dimostrare la distanza siderale della sinistra dallo "spirito delle masse", dalla maggioritaria coscienza popolare, dalla seppur vaga speranza e possibilità di governare a breve. Per la verità, pensavo che, visto l'impegno dispiegato dalla Cgil, dai partiti del centrosinistra e da una vasta intellettualità, con il corollario di tanti nomi famosi della letteratura, della musica e dello spettacolo cine e TV, la partecipazione avrebbe almeno superato un terzo dei potenziali votanti, insomma intorno al 35% più o meno. Ma di sicuro non mi aspettavo l'autogol più clamoroso dell'intera vicenda, che non riguarda affatto ciò che a me pareva, e pare, l'ovvietà, e cioè che non puoi far decidere le sorti dei lavoratori/trici dipendenti del settore privato a chi lavora in tutti altri luoghi e in situazioni ad essi conflittuali, o è coperto, più o meno, da una qualche pensione (cioè, appunto, i due terzi della popolazione), tanto più se i provvedimenti a cui ti opponi ora, li hai imposti ieri tu in un governo dell'epoca. 

Mi riferisco invece al sorprendente, in negativo, risultato del referendum sulla cittadinanza, ove il dato più rilevante non è il 70% di astensione ma il fatto che di quel 30% dei votanti, più di un terzo ha votato contro il referendum, esprimendo chiaramente il "sentiment" di maggioranza, della serie "di migranti ne abbiamo più che a sufficienza". Cosicché, l'aspetto più dirompente di quel voto è che a votare contro sono stati circa il 35% di quelli che sul resto hanno votato "a sinistra", insomma, un terzo o più della base elettorale del centrosinistra. Non a caso la Lega, cioè la forza più aggressiva sull'argomento, ha gioito per questo risultato finanche più che per la grande astensione generale: perchè questa era prevedibile, ma l'altro risultato é andato ben oltre le loro speranze (in 60 anni di referendum non ricordo uno scarto così clamoroso tra il voto su un quesito e quelli su tutti gli altri).

In generale, ancora una volta è emersa clamorosamente l'improvvisazione da "social", il vivere, o sopravvivere, su trovate mediatiche e di immagine (di cui Schlein è al contempo la battistrada e il simbolo più eclatante) per mascherare la sostanziale fragilità politica e vaghezza programmatica della sinistra istituzionale , che in questa occasione ha seguito nel burrone Landini e i suoi sogni di gloria politici (coltivati fin da quando, come fresco segretario nazionale FIOM, cercava di sedurre disobbedienti e sinistra gruppettara per accreditarsi nel "movimento"come "er mejo politico de sinistra"), con una motivazione - che solo in queste ore emerge allo scoperto - davvero sciagurata. Risulta adesso che per Schlein il successo consistesse non nell'arrivare al 51% dei votanti ma nel portare a votare anche solo uno/a in più di quelli/e che alle ultime politiche nazionali avevano votato per il governo Meloni. Pensare, dopo una batosta del genere e con una procedura ultra-politicista (alle masse propongo un obiettivo "alto", ma in mente ho una furbata che mi accrediti come l'unica alternativa a Meloni), di poter raccontare oggi ad un intero popolo una tale sciocchezza (n.b. se i voti referendari su alcuni temi fossero equivalenti al voto politico per il programma generale di un partito, ai tempi del divorzio e aborto Pannella doveva diventare presidente del Consiglio con un governo monocolore Radicale; e comunque in un voto politico i migranti pesano assai di più del Jobs Act e, ivi, i favorevoli son stati 9 milioni e non 14), ci fa capire ancor meglio perchè, purtroppo, Meloni e soci, a meno di cataclismi difficilmente prevedibili ora, arriveranno in tutta tranquillità a fine legislatura e, probabilmente, avranno il governo garantito anche per la prossima.

Dico questo anche a beneficio di chi a suo tempo, nei nostri ambienti, non voleva il testo, per invitare a votare SI', che alla fine abbiamo varato come Confederazione COBAS. Il quale, almeno, non solo segnalava le malefatte passate, su quei temi, e i danni pregressi provocati dai promotori dei referendum ma anche, e soprattutto, sottolineava il boomerang che poteva costituire il cercare di imporre la giustizia lavorativa per i dipendenti privati non con un ciclo di lotte aperte ma grazie al voto di una platea elettorale ove tali lavoratori/trici sono netta minoranza.

  

Piero Bernocchi   portavoce Confederazione COBAS

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