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    GESTIONE DEI RIFIUTI Il grande inganno dei termovalorizzatori

    Cobas Confederazione

    18/05/2023 16:28

    di Eliana Caramelli

    GIORNALE

    Da Venezia a Bari, passando per Roma, l’incenerimento continua ad essere la scelta principale per la gestione dei rifiuti, urbani e non, senza distinzione di Governi.

    Eppure l’Europa lo dice chiaro. Dalla Direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE fino alla direttiva (UE) 2018/851, è stata introdotta e poi rafforzata una gerarchia nel trattamento dei rifiuti che vede al primo posto la prevenzione, poi il riutilizzo e il riciclo attraverso la raccolta differenziata, infine il recupero energetico solo per i rifiuti che non si possono evitare né riutilizzare o riciclare, in ultimo lo smaltimento in inceneritori o in discarica. L’ordine di priorità stabilito dall’Europa è quindi chiaramente a favore del recupero di materia rispetto all’incenerimento, ancorché finalizzato al recupero di energia.

    Coerentemente le linee guida sul principio DNSH[1] " che sta alla base dell’attuazione delle misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), l'incenerimento dei rifiuti è considerato un'attività che arreca un danno significativo all'ambiente. La costruzione di nuovi termovalorizzatori non potrà quindi beneficiare di finanziamenti comunitari confermando che tali impianti sono tutt’altro che “resilienti”, anzi “ingessano” il sistema, inibendo l’economia circolare. Secondo un recente studio di Altraeconomia[2], la raccolta differenziata diminuisce nei territori in cui è presente un inceneritore, mentre per il Consorzio Nazionale Imballaggi il 49% della plastica raccolta in modo differenziato viene inviata a incenerimento.

    Ma vediamo nel dettaglio. Ci aiuta in questa analisi Mattia Donadel, del Comitato opzione zero[3], impegnato, tra le altre vertenze, a contrastare la messa in esercizio di due inceneritori nella Provincia di Venezia.

    Ci racconti innanzitutto cosa si vuole fare a Venezia?

    A Fusina, vicino Porto Marghera nel 2019,  è stato presentato da una partecipata di Veritas Spa, la multiutility di cui il Comune di Venezia controlla la maggioranza, il progetto di un nuovo inceneritore per rifiuti urbani e fanghi (tre linee per ca. 150.000 ton/anno) dopo che nel 2014 era stato chiuso quello vecchio. Il progetto è stato approvato dalla Regione Veneto per due linee ridotta ad una grazie alla lotta dei comitati.  Inoltre da pochi mesi ENI Rewind (la società “green” di ENI) ha presentato un altro progetto per la costruzione di un impianto per l’incenerimento dei fanghi di depurazione delle acque reflue provenienti da tutto il Veneto. Siamo solo all’inizio di questa dura battaglia.

    Perché pensate che l’incenerimento non sia la soluzione per la gestione dei rifiuti?

    Gli inceneritori sono il problema e non la soluzione. Innanzitutto sono dei “moltiplicatori” di materia. Infatti, non si pensa mai che per alimentare il processo di termodistruzione entrano in gioco i gas atmosferici. Poi servono additivi chimici per l’abbattimento dei fumi, si utilizza acqua per lo spegnimento delle ceneri e per il processo industriale. Quindi, dalla combustione dei rifiuti solidi, escono gas climalteranti e altre sostanze, che hanno comunque un loro “peso”, nonché ceneri e scorie che vanno smaltite in discarica come rifiuti speciali pericolosi, oltre che acqua contaminata. Rispetto alla quantità di rifiuti in ingresso, esce una quantità di materia solida, liquida e gassosa triplicata, molto più contaminata e pericolosa, che finisce nei suoli, nelle acque e in atmosfera.

    Dicono che i moderni inceneritori non inquinano…

    Un impianto di incenerimento è come un reattore chimico. Il set delle sostanze che vengono misurate è limitato alle principali (CO2, NOX, metalli pesanti, PCB, diossine, …) mentre altre, ugualmente pericolose, non vengono considerate, ad esempio i PFAS (sostanze perfluoroalchiliche). Inoltre, la misurazione delle concentrazioni di sostanze tossiche vengono fatte “a camino”, in relazione a un metro cubo di gas in uscita in un determinato istante. Ma questa misurazione andrebbe effettuata per tutto il periodo di attività dell’impianto, per rilevare la quantità totale delle emissioni attraverso un bilancio di massa complessivo.

    Infine, non vengono fatti studi sulle reazioni secondarie che si generano quando tali sostanze si ricombinano con i gas atmosferici, né come questi microinquinanti organici e inorganici si accumulano nell’ambiente. Pur essendo ormai noto come essi siano persistenti ed entrino, attraverso il suolo o le acque, nelle catene alimentari fino all’uomo, non esistono approfonditi studi epidemiologici a lungo termine. Sappiamo che in Olanda, nei pressi dell’inceneritore di Harlingen hanno trovato diossine nelle uova[4] mentre nello Stato di New York, vicino un impianto gestito dalla società Norlite che bruciava, tra le altre, schiume antincendio, hanno trovato elevate concentrazioni di PFAS nei suoli[5].

    Però i termovalorizzatori non producono anche energia?

    Nella normativa ambientale i “termovalorizzatori” non esistono. Si tratta sempre di “inceneritori” con o senza recupero di energia che, come la discarica, sono impianti di smaltimento, quindi l’ultimo stadio nella scala della gestione dei rifiuti. Certo, dai rifiuti si può recuperare energia, ma abbiamo visto a quale prezzo; inoltre, se si considera tutta l’energia impiegata nell’intero processo (trasporto, vagliatura, creazione di CSS -ndr. il combustibile solido dei rifiuti ottenuto dall’essiccazione del rifiuto indifferenziato per eliminare la parte organica-, accensione dei forni, smaltimento delle scorie, ecc.), il bilancio energetico è negativo.  Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, il rendimento è bassissimo e secondo Utilitalia[6] il contributo che possono dare i “termovalorizzatori” al bilancio energetico nazionale è del 2-3%. Va meglio per quei pochissimi inceneritori che recuperano il calore con sistemi di teleriscaldamento, ma in ogni caso l’impatto ambientale che generano non giustifica questa modalità di produzione di energia.

    Pertanto il recupero della materia che finisce negli inceneritori, principalmente plastica, legno, carta, tessuti, resta sempre la scelta migliore.

    Quindi gli inceneritori contribuiscono negativamente al cambiamento climatico?

    Certamente. Definire i rifiuti una fonte di energia rinnovabile è un grande inganno e serve solo per mantenere in piedi il sistema estrattivista della nostra economia. I rifiuti che hanno maggiore potere calorifico e quindi vengono privilegiati per gli inceneritori, sono materie plastiche, cioè derivati del petrolio di origine fossile. Siamo sempre li.

    In generale, occorre uscire dalle combustioni, sia di origine organica che di origine fossile, perché ogni combustione è un evento traumatico per gli ecosistemi. I processi naturali fissano la CO2 atmosferica attraverso la fotosintesi trasformando il Carbonio da inorganico a organico. Quando una pianta muore ci mette molto tempo per degradarsi. Le combustioni invece accelerano tale processo e se noi le moltiplichiamo, non diamo il tempo ai sistemi naturali di ri-fissare quel Carbonio. Non è solo una questione di qualità del processo ma anche di velocità.

    C’è poi il problema dei PFAS in uscita dai camini di questi impianti, sostanze che non vengono prese in considerazione e per le quali andrebbe fatto un capitolo a parte[7]. Oltre alla tossicità, molti di questi composti sono gas climalteranti più potenti e persistenti della CO2.

    Ma se ambiente e salute ci perdono, chi ci guadagna?

    Generalmente vi è una sovrapposizione tra il soggetto che gestisce l’inceneritore e quello a cui è affidata la raccolta dei rifiuti. Quando va bene le cosiddette partecipate sono totalmente in mano pubblica, ma il loro modo di operare è come quello delle imprese private e di fatto queste diventano centri di potere in grado di determinare le scelte delle amministrazioni comunali. Ma nella maggior parte dei casi nelle partecipate, o loro controllate, sono presenti privati, per tanto la logica del profitto “diventa legge”. E’ noto poi che nella gestione dei rifiuti, lecita o illecita che sia, spesso si infiltrano organizzazioni criminali. 

    Certamente l’incenerimento è molto più remunerativo per il soggetto che riceve i rifiuti da trattare. Senza contare che nel rifiuto indifferenziato ci sono prevalentemente frazioni che potrebbero essere avviate a recupero di materia e quindi essere pagate a chi li conferisce cioè i Comuni e quindi i cittadini.

    Gli inceneritori sono generalmente impianti molto grandi, molto costosi e con una vita molto lunga che hanno bisogno di essere alimentati da milioni di tonnellate di rifiuti per decenni. Chi li controlla ha tutto l’interesse a fare in modo che prevalga lo smaltimento in luogo del recupero, perché i guadagni sono assicurati e ingenti. Tra l’altro gli inceneritori non bruciano solo rifiuti urbani, ma anche molti rifiuti speciali il cui trattamento specifico sarebbe ben più costoso per chi li produce; inoltre il controllo della loro gestione è lacunoso e il rischio che vengano smaltiti illecitamente anche rifiuti pericolosi è più che concreto.

    Quindi, che fare?

    Impedire la costruzione di nuovi inceneritori e cercare di chiudere quelli già in esercizio, puntando alla chiusura del ciclo della materia, attraverso la prevenzione e una raccolta differenziata efficiente.

    Certamente se si pensa alle 600.000 t annue dei rifiuti indifferenziati di Roma, risulta difficile la soluzione immediata. Servono molte misure inserite in una pianificazione organica, di lunga visione e supportate da studi di dettaglio, con soluzioni calate nel territorio. Occorre capire cosa c’è nel sacchetto dei rifiuti che ogni giorno buttiamo via e agire di conseguenza per limitare la produzione di quei rifiuti difficilmente recuperabili o riciclabili.

    Infine, una corretta gestione dei rifiuti non è un problema di tempi né di costi né di occupazione: per costruire un inceneritore come quello in progetto a Venezia servono almeno 5 anni e 100 milioni di Euro. Con tempi più rapidi e con gli stessi soldi si può realizzare un sistema duraturo per prevenzione, riuso e raccolta differenziata spinta, che crea occupazione e distribuzione della ricchezza su filiere lunghe, a vantaggio dei cittadini, della loro salute e dell’ambiente. Inceneritori e discariche servono invece per concentrare ricchezza nelle mani di pochi a scapito di chi la produce, visto che comunque i costi di investimento e di gestione degli impianti vengono scaricati sulle bollette.

    Anche la gestione dei rifiuti è dunque una questione di giustizia sociale e di democrazia.

     NOTE

    [1] Do No Significant Harm,non arrecare danno significativo all’ambiente

    [2] https://altreconomia.it/gli-inceneritori-ingessano-la-raccolta-differenziata-dei-rifiuti-in-italia-ecco-perche/

    [3] www.opzionezero.org

    [4] https://zerowasteeurope.eu/wp-content/uploads/2018/11/NetherlandsCS-FNL.pdf

    [5] https://theintercept.com/2020/04/28/toxic-pfas-afff-upstate-new-york/

    [6] https://www.utilitalia.it/notizia/65b71bb2-643f-4b34-90aa-16e9bc690ad6

    [7] Per approfondimenti vedi il sito https://pfas.land/

    Il convegno del 14 novembre

    PER UNA SOCIETA' DEI BENI COMUNI

    Una giornata di dibattito sul libro di Piero Bernocchi
    OLTRE IL CAPITALISMO
    Discutendo di benicomunismo, per un’altra società.

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