PAROLE CHE INGANNANO

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati

mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio,

malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Ai compiti previsti da questo articolo provvedono

organi o istituti predisposti o integrati dallo stato.

art. 38 Costituzione della Repubblica 1948

Senza dubbio il risparmio che i lavoratori realizzano per la copertura dal rischi vecchiaia costituisce oggi la ricchezza “mobile” maggiore del nostro pianeta. Ci sono paesi in cui i fondi pensione gestiscono patrimoni superiori allo stesso Prodotto Interno Lordo del paese (Olanda, Svizzera, Islanda tra i paesi OCSE), paesi nei quali i fondi pensione superano il 50% delle ricchezze misurate dal PIL (Stati Uniti, Canada, Finlandia, Inghilterra, Australia).( v. nota 1)

Il valore complessivo dei fondi pensione, nei paesi dell’OCSE ha raggiunto, nel 2009, il 70% della somma dei PIL di tutti e 33 paesi che compongono l’OCSE. Se si aggiunge la quantità di risparmio pensionistico gestito direttamente dagli Stati e che, grazie al sistema a Ripartizione, non andrà mai a finire nel circuito del capitale finanziario, si può ben dire che nel nostro pianeta la quantità di ricchezza complessiva che gli umani risparmiano per la loro vecchiaia supera la somma di tutti il PIL del mondo. Questo spiega la ragione per cui l’ingordigia capitalistica vorrebbe che questa ricchezza residua venisse anch’essa privatizzata e che finisse lo “scandalo” dei sistemi Pubblici a Ripartizione, che si preoccupano soltanto di garantire “importi generosi” ai lavoratori in pensione e salvaguardare la qualità delle loro condizioni di vita, sottraendo questa residua ricchezza al circuito del capitale finanziario. I campioni di questo scandalo sono la Francia, l’Italia e la Germania: in Francia i fondi pensione privatistici proprio non esistono, in Italia dopo tanti sforzi raggiungono solo il 3,5%, ed in Germania il 4,7% . Nell’Europa continentale, eccetto il Portogallo (12%) e la Polonia (11%) nessuno degli altri paesi raggiunge il 10%. Sono proprio i sistemi pensionistici, largamente pubblici, previdenziali e a ripartizione, di questi tre Paesi che sono sotto attacco, perché anche in essi quote sempre maggiori vengano privatizzate. (v. nota 1)

Un meccanismo di cui governi e poteri finanziari si avvalgono quotidianamente e con continuità è l’uso ingannevole delle parole. Utilizzare le parole pensioni /pensionistico per denominare prodotti finanziari che non hanno le caratteristiche che nel linguaggio comune vengono attribuite alla parola pensione, costituisce un inganno di non facile rimozione. Nell’immaginario collettivo la parola “pensione” significa: certezza, sicurezza sociale, garanzia, gestione pubblica, solidarietà.

C’è un’altra parola che viene ampiamente distorta per sedurre i possibili risparmiatori: la parola “Garanzia”. “Garanzia/garantito/garantita” è la denominazione della maggior parte dei fondi pensione, sia aperti che chiusi … inutile insistere sulla forza evocatrice della parola. Il fatto è che sia la legge istitutiva sia i singoli statuti dei fondi escludono che da questi prodotti finanziari, esclusivamente rispondenti al mercato, si possa ottenere qualsiasi garanzia sia per il capitale versato sia per la rendita ipotizzata. Nelle assemblee dei lavoratori della scuola, con sindacalisti che promuovevano e propagandavano l’adesione al Fondo Espero (negoziale, chiuso, sindacale) non ho mai ascoltato un sindacalista/promotore finanziario citare questo dato fondamentale (v.nota 2).

Questi trucchi, ampiamente usati durante tutta la campagna del 2007 per convincere i lavoratori a devolvere il loro TFR ai fondi pensione, hanno funzionato molto poco, tanto che le adesioni sono state di gran lunga al disotto delle aspettative.

C’è una parola che di questi tempi viene molto usata da giornalisti, sociologi, esperti, sindacalisti, per imbrogliare le carte e cercare di cancellare le specificità del nostro sistema pensionistico: la parola Welfare.

Il termine welfare e i concetti ad esso sottesi si affermano nel 1942 in Inghilterra, quando il governo approvò il rapporto Beveridge e ne fece la base del suo programma sociale. Indubbiamente alcune riforme realizzate in questo ambito costituirono un avanzamento delle condizioni di vita del popolo inglese, soprattutto nel campo della sanità. Bisogna però, chiarire che la filosofia cui si ispirava l’azione del governo inglese era quella della tradizione della beneficenza, che storicamente si era radicata in Inghilterra attraverso le associazioni di carità, l’esercito della salvezza, le parrocchie. D’altro canto, nella sua relazione sul welfare, Lord Beveridge raccomanda che il governo trovi il modo di combattere “cinque 'grandi mali': povertà, malattie, ignoranza, squallore e ozio”.

Ben altra filosofia e ben altri principi ispiravano Bismarck quando realizzò in Germania il primo sistema pensionistico dell’Europa continentale: pubblico, obbligatorio, mutualistico, universale e previdenziale. Gli stessi principi furono sottesi alla istituzione di sistemi pensionistici analoghi nella maggioranza dei Paesi europei continentali e del sud.

In Italia di questa filosofia era radicata nelle esperienze delle società di mutuo soccorso operaio, nelle casse mutue del mondo agricolo di matrice socialista ma anche nel solidarismo cattolico e democratico, diffuse ampiamente sul territorio.

Queste esperienze hanno costituito le fondamenta dei nuovi diritti sociali ed hanno accompagnato la maturazione di questi in diritti specifici, settoriali, contrattuali, in diritti universali, sanciti e resi esigibili nel secondo dopoguerra in quasi tutte le Costituzioni democratiche dei paesi europei. Eccezione emblematica è l’Inghilterra, dove ancora prevale il sistema pensionistico “assistenziale”, i cui costi gravano sulla fiscalità generale.

In Inghilterra il coefficiente di copertura della pensione pubblica, per un lavoratore con 40 anni di carriera lavorativa, è del 36%, ossia un lavoratore il cui ultimo stipendio è stato 1.000 avrà dalla pensione pubblica 360.

L’Inghilterra è infatti il paese europeo con il maggior livello di ricorso ai fondi pensione privatistica: le risorse gestite dai Fondi Pensione hanno un valore pari al 64% dell’intero PIL del Paese. In Francia il coefficiente di copertura è del 67,8 %, mentre in Germania del 48%.

In Italia il coefficiente di copertura della pensione pubblica è stato del 73,36% fino al 1995 e lo sarà ancora per quei lavoratori che a quella data avevano già maturato18 anni di contribuzione, per i quali, quando andranno in pensione, l’importo verrà calcolato interamente con il metodo retributivo.

Coloro che andranno in pensione secondo il metodo contributivo della riforma Dini a regime, sempre con anzianità lavorativa di 40 anni, il coefficiente di copertura sarà del 56% con l’età anagrafica di 57 anni, del 64% con l’età anagrafica di 61 anni, del 73,61% con l’età anagrafica di 65 anni (questi dati non tengono conto delle ultime modifiche introdotte dalla manovra Tremonti del luglio di quest’anno).(v. Nota 3)

Ma quale può essere l’obiettivo di chi soprattutto attraverso i media usa la parola welfare come sinonimo di sistema previdenziale o confonde il welfare e il sistema pensionistico “assistenziale” con l’opposto il sistema pensionistico previdenziale? Credo che, consapevolmente o per insipienza, gli obiettivi possano essere molti.

Il primo è certamente quello di confermare quello che attraverso molte altre analisi false e locuzioni ingannevoli si tenta di far passare nella mente della maggioranza dei cittadini: i soldi delle pensioni sono dello Stato senza vincoli per il loro uso, quindi i singoli governi possono tagliare, distrarre, destinare ad altri usi, perfino ridurci il debito dello stato, proprio come fossero le entrate della fiscalità generale e non il salario differito obbligatoriamente ai fini pensionistici dei lavoratori dipendenti..

Un esempio recente di questa “filosofia” e di questa pratica si è avuto quando si è innalzato da 60 a 65 anni l’età pensionabile per le donne. Il parlamento ha approvato una raccomandazione proposta dall’opposizione con la quale si dovrebbero destinare all’istituzione di asili nido le centinaia di milioni risparmiati negli anni con questa controriforma.

Altro esempio, è far credere che il salario differito che alimenta il montante dei contributi previdenziali possa essere considerato come la cassaforte del Governo che può attingere per i bisogni di qualsiasi natura. Ne sono esempi recenti le finanziarie prima del centro sinistra poi del centro destra che hanno incamerato con forme diverse i soldi del TFR dei lavoratori depositati nell’apposito fondo dell’INPS.

Un secondo scopo di questa grancassa mediatica, è quello di poter continuare ad utilizzare i contributi previdenziali dei lavoratori per coprire spese assistenziali, magari da far gestire alla stessa INPS, e che dovrebbero gravare sulla fiscalità generale.

E’ questa una manovra perennemente in atto che ha raggiunto livelli insopportabili negli ultimi tempi.

Si fa credere che l’INPS sia alla bancarotta perché ha sempre più bisogno dei trasferimenti da parte dello stato. Lo si documenta anche mostrando quanto cresce, rispetto all’anno precedente la quantità di soldi che il MEF trasferisce all’INPS.

E’ tutta una grande menzogna l’INPS gode di ottima salute, il fondo pensioni per i lavoratori dipendenti si prevede (bilancio revisionale assestato settembre 2010) sia in attivo di oltre 7 (sette) miliardi. Il fondo pensione dei lavoratori atipici sarà in attivo di oltre 6 (sei) miliardi. Non si dice che l’INPS gestisce fondi in passivo la cui copertura SPETTA ALLO STATO, come il fondo per le pensioni al clero, il fondo pensione dei lavoratori autonomi e di quelli agricoli…una serie di attività assistenziali che, ancorché sacrosante come la pensione sociale agli ultra sessantacinquenni senza reddito, o agli invalidi civili, nessuno pensa che le relative coperture debbano essere a carico dei lavoratori dipendenti attraverso i contributi previdenziali.

Così nessuno dice, tra quei pochi che parlano di questi argomenti, che in momenti di crisi come questi l’INPS vede aumentare a dismisura le proprie uscite attraverso il pagamento degli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione o la indennità di disoccupazione che non possono che essere a carico della Fiscalità generale. Ma siccome l’INPS gestisce, per conto dello stato, tutte queste attività si vuole far credere che mettano in rosso il bilancio dell’Inps stesso, il quale pur gravato di questi indebiti pagamenti anche quest’anno sarà pervicacemente in attivo per oltre 700 milioni di Euro.

Ma questa grancassa contro l’Inps, e contro gli altri enti previdenziali pubblici, serve a spianare la strada al compito generale che si è dato il capitalismo internazionale: procedere al progressivo degrado dei sistemi previdenziali pubblici alla loro immagine ed efficacia, per poter favorire i fondi pensione e gli altri prodotti finanziari mascherati da “pensioni integrative/complementari”, Piani Pensionistici Individuali, le cui risorse sono interamente nelle mani del capitale finanziario senza regole o controlli efficaci.

Comitato di Base Pensionati Cobas di Roma

Nota 1: Fonte: relazione COVIP 2009

Nota 2: Rischi (dei Fondi pensione)

La destinazione del TFR a forme pensionistiche complementari è soggetta a un triplice rischio di insolvenza:

1) insolvenza del soggetto depositario dei fondi,

2) insolvenza del soggetto che emette le quote del fondo,

3) insolvenza degli emittenti gli strumenti finanziari in cui le somme sono investite.

I rischi di insolvenza o di fallimento non possono essere oggetto di copertura assicurativa. In assenza di un fondo di garanzia che possa intervenire, in questi casi, i sottoscrittori restano privi di pensione.

La legge non obbliga la previdenza complementare a garantire né gli interessi né il capitale versato.

La regolamentazione di questi aspetti è delegata ai regolamenti dei fondi pensione, ed è differente da un fondo all'altro. Si tratta in ogni caso di una garanzia che il fondo pensione può facilmente eliminare, modificando il proprio regolamento. (Tratto da: Wikipedia voce “Fondi Pensione”)

Nota 3: Claudio de Vincenti “Gli anziani in Europa” Ed.Laterza, 2.000

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